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SAGGISTICA     FGHI

F

 

I libri visti dall’altra parte. Quella di chi li scrive e di chi li scova, li sceglie, li stampa, li vende. La storia di un mito e di una passione. L’autore inizia da ragazzo a lavorare alla mitica Einaudi, conosce da vicino nella loro umanità, nella grandezza e nei difetti, personaggi che noi lettori abbiamo letto e amato, di loro parla con gentilezza e pudore, fino a ricostruire un mondo, un tempo, un’avventura straordinaria. Conosciamo così Cesare Pavese, Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Primo Levi, Carlo Emilio Gadda, Elio Vittorini… Protagonisti della storia culturale del nostro paese, ciascuno diverso, tutti accomunati dall’idea molto poco italiana del lavoro continuo, preciso, puntuale, tutti umilmente convinti di lavorare non per se stessi, o almeno non solo per se stessi, ma di contribuire a qualcosa di grande e importante. Su tutti lui, l’Editore, aristocratico e scostante fino all’antipatia, ma capace di grande seduzione, per nulla attento alle questioni finanziarie, entusiasta, sempre teso a cercare il nuovo, il diverso, pronto a innamorarsi ogni volta di un nuovo autore, di una nuova scienza. Uomo di leggerezza e gusto, per il quale l’insulto più grave è “noioso”, ama la montagna, il bianco e l’essenzialità, non vuole sentir parlare di morte e sopravvive coraggiosamente ai suoi autori più amati, alla diaspora dei collaboratori, infine alla perdita della sua creatura.
Vale veramente la pena di leggere questo libro: è incantevole. Il capitolo su Primo Levi e quello su Calvino sono dei capolavori di grazia e passione. "La felicità che l'Editore perseguiva era di una speciale qualità langarola, insieme terragna e umbratile, di lunghe radici e leggera come una foglia".

(Daniela Borsato)

Frizzante, scorrevole, piccante e provocatorio quel tanto che basta, nazional-popolare senza essere volgare, ponderoso - anche nella mole - senza essere pesante, La patria, bene o male contiene, scanditi in 15 decenni, i resoconti di 150 avvenimenti che, a detta degli autori, hanno” fatto l'Italia”. Non è soltanto cronaca politica (cronaca, si badi bene, non storia!), ma panoramica interessante, significativa e azzeccata del costume, della società e del gusto dei vari decenni che hanno segnato il percorso dell'Italia post unitaria. In questa sorta di conto alla rovescia, dal 1861 al 2011, si succedono episodi di ogni sorta, assai eterogenei e variegati, ma riconducibili tutti a quella “italianità” che - nel bene e nel male, appunto, come recita il titolo - permea la nostra cultura, così unica e inimitabile.
C'è l'Italia sportiva, che sogna con il mitico Torino schiantatosi a Superga o con l'agonismo nobile di Bartali e Coppi, c'è l'Italia malavitosa, dai primi delitti di mafia di fine Ottocento alla strage di Falcone e Borsellino, c'è l'Italia che si risolleva fatica da due devastanti guerre mondiali, da politiche coloniali fallimentari e da un regime dittatoriale, c’è l'Italia dello spettacolo, affidata al festival di Sanremo, alla grande stagione del cinema neorealista e al mito televisivo di Mike Bongiorno, c’è l'Italia della cultura, con la morte di Manzoni, la rivoluzione teatrale di Pirandello e la fisica d'avanguardia dei ragazzi di via Panisperna, c’è l'Italia terroristica delle brigate rosse, del delitto Moro e dei brogli elettorali e quella industriale, con la nascita della Fiat e la lungimiranza del primo fondatore Agnelli. E ci sono gli italiani: creativi, volubili, furbacchioni, geniali, inaffidabili, idealisti.
Che cosa mi è rimasto più impresso di questo libro? Una frase, estremamente significativa e paradossalmente pronunciata da Mussolini. Recita così: “Governare gli italiani non è difficile: è inutile”.

(Paola Lerza)

G

 

 

Temple Grandin è professoressa di Scienze del comportamento animale all'Università del Colorado, nonché uno dei più grandi progettisti americani di attrezzature per la zootecnia. Tuttavia, questo non è un libro sugli animali o sulle macchine per il bestiame, o meglio lo è solo in minima parte: Temple Grandin è autistica e in questo racconto-saggio ci spiega come è riuscita a fare del suo handicap una risorsa.
Attraverso la sua analisi dell'autismo, che parte dall'esperienza personale per poi allargarsi a comprendere altri casi e si arricchisce dei dati forniti dalla letteratura scientifica, ci è possibile capire un po' di più di questo disturbo e del modo in cui ci si può relazionare con persone che ne sono affette.
In particolare, la Grandin si sofferma sulle caratteristiche del "pensiero visivo": "Io penso in immagini. Le parole sono come una seconda lingua per me. Io traduco le parole, sia pronunciate che scritte, in filmati a colori, completi di suono, che scorrono come una videocassetta nella mia mente." Questa eccellenza nelle abilità videospaziali, caratteristica della maggior parte delle persone autistiche, è stata la chiave del suo successo, perché le ha consentito di concepire e realizzare progetti di attrezzature per gli animali semplicemente immaginandone la struttura e il funzionamento: "Non ho bisogno di un sofisticato programma di grafica che produca simulazioni tridimensionali del progetto. Posso fare tutto questo meglio e più rapidamente nella mia testa". Questa modalità di pensiero, che per molti anni ha costituito un limite nei rapporti con gli altri e durante il percorso scolastico, perché così diversa e incomprensibile per chi ragiona secondo il pensiero verbale o sequenziale, una volta scoperta e valorizzata dalle persone che le stavano intorno le ha permesso di uscire dall'isolamento e di realizzare le sue aspirazioni.
Accanto alle pagine nelle quali la Grandin descrive il suo rapporto privilegiato con gli animali, c'è il racconto sincero delle difficoltà che tuttora permangono in lei nell'affrontare i rapporti umani, sia in ambito professionale che personale: l'incapacità di comprendere i rapporti emotivi complessi e le sfumature emozionali, così come le difficoltà nell'organizzare ed esporre i propri pensieri, la obbligano a ricorrere spesso all'aiuto e all'intermediazione di altre persone.
Grazie ad alcune fortunate collaborazioni è nato anche questo libro, che ci aiuta a considerare l'autismo in un'ottica diversa e può quindi costituire un validissimo strumento di conoscenza per chiunque viva o operi a contatto con persone che ne sono affette.

(Monica Anelli)

H

Il titolo stesso del racconto nella versione originale tedesca (L’insegnamento della Sainte Victoire) è emblematico e sintetizza lo stretto legame che intercorre tra la scrittura di Handke e l’opera pittorica di Cézanne, con riferimenti particolari alla Saincte Victoire, il monte più volte dipinto dall’artista.
La percezione del colore in uno stato quasi di dormiveglia in cui realtà e fantasia si mescolano, crea nell’autore un senso di profonda “beatitudine”, quasi un “istante di eternità”. Così inizia il suo viaggio dentro al colore, viaggio che è insieme reale e immaginario, intessuto di sfumature, silenzi, ricordi, che lo porterà nei pressi della Sainte Victoire, la montagna tante volte dipinta da Cézanne.
Ad Handke, novello Ulisse, non interessa raggiungere la meta, cioè la sommità del Sainte Victoire, ma considera essenziale il mettersi in cammino:
“Anche il mio eroe era della partita, come già per i molti prima di me l’omerico Ulisse: come lui, mi ero rifugiato in una (provvisoria) sicurezza potendo dire di essere Nessuno; e del protagonista della mia storia mi ero una volta immaginato che, come Ulisse dai Feaci, sarebbe stato deposto nel suo paese d’origine mentre dormiva, e a tutta prima non lo avrebbe neppure riconosciuto”
La parte centrale del racconto è una successione di “inquadrature mentali” del la Sainte Victoire, il monte dipinto tante volte da Cézanne.
Silenzio e vuoto sembrano essere i momenti privilegiati dell’attività creativa di Handke, quelli che soli gli permettono di “materializzare” attraverso la parola realtà che sono tanto più reali quanto più frutto di fantasia. Non si tratta però di una fantasia libera e senza agganci, ma spesso legata a ricordi o sensazioni che si trasformano e vivono di una vita propria nel momento della creazione.
L’assenza di una trama e il libero fluire delle immagini rende quest’opera particolarmente singolare e affascinante e crea nel lettore uno stato di “attesa” rilassante e positiva.
Alcuni temi sono più volte ripresi dallo scrittore, in quanto parte del suo mondo e stimoli alla sua creatività, quali il concetto di “soglia” o di limitare, che è insieme un’apertura verso l’ignoto, ma allo stesso tempo offre un riparo nella sua parte nota e familiare, o il concetto di “vuoto”, inteso come liberazione totale della mente da ogni schema precostituto, al fine di potersi immergere completamente nella natura e coglierne gli aspetti eterni.

(Gisella Malagodi)

 

                                                      

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