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Quando ho letto questo libro per la prima volta, tanti anni fa, non mi è piaciuto. Ma ero una ragazzina. Per questo non vorrei inserirlo nella sezione didattica, non sono così sicura che possa essere compreso e apprezzato dai bambini e nemmeno dagli adolescenti. Certo l’argomento trae in inganno, e anche il linguaggio. Perché indubbiamente è una fiaba, ma chi l’ha detto che le fiabe siano scritte solo per i bambini? Questo racconto è per gli adulti. I grandi, come dice il piccolo principe. Che in un disegno di un boa che mangia un elefante riescono a vedere solo un cappello. Che coltivano cinquemila rose in un giardino e non sanno amarne una, una soltanto. Ma solo un adulto secondo me capisce, dopo aver vissuto l’esperienza del dolore e della perdita, che cosa significhi lasciarsi addomesticare.
È un libro che piace molto o per nulla, non esistono vie di mezzo. Nella rete si trovano pagine e pagine ispirati al piccolo extraterrestre: riduzioni teatrali, giochi, manifestazioni artistiche, commenti positivi e negativi. Non lascia indifferenti, il piccolo principe.
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"È il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripeté il piccolo principe per ricordarselo.

(Daniela Borsato)

 

 

Il romanzo, che si colloca indubbiamente tra i capolavori della letteratura contemporanea, racconta in crescendo la storia di una misteriosa, apocalittica cecità che colpisce una umanità mostrata nella sua progressiva degradazione, assoluta. In un mondo, che il lettore vede attraversato da una abbagliante “luce cieca” che investe i personaggi, si assiste ad una sorta di punizione/messaggio per gli uomini. Una società, stravolta ed impotente, regredisce ad uno stato primordiale fatto di bisogni non mediati, di perdita di identità e di senso, anche quello del cammino della civiltà e del tempo che continua a scorrere ora indifferente, ora amico, ora ostile, ora boia dell’uomo. Difficile descrivere, bisogna leggere per farsi attraversare da uno o mille sensi insieme della storia narrata. Incalzante, la scrittura procede attraverso discorso diretto e indiretto liberi, per tirarci dentro ogni sensazione; asciutta, ci accompagna neutrale ad assistere, senza formulare giudizi poiché essa stessa è, strumentalmente, un giudizio, armato, sulle cose, sugli uomini, sulla società. Ci lascia davanti alle pagine a meditare, questa scrittura, sul fatto che non siamo stati accecati dalla luce, ma ciechi nella luce. Un grande Saramago che mostra l’incubo di una misera umanità, o forse di un’umanità che può ritrovare se stessa, chissà dove, e perpetuare la Storia!

(Sonia Solomonidis)

Una storia a fumetti, ambientata in Iran mentre crolla il regime dello Scià, trionfa la rivoluzione islamica e scoppia la guerra con l’Iraq.
E’ la storia vera di una bambina di Teheran, figlia di genitori progressisti, che vive con la sua famiglia il trasformarsi della sua regione da paese moderno in paese a regime fondamentalista, con tutte le conseguenze del ribaltamento dei costumi, delle leggi e dei rapporti umani che costringono la famiglia di Marjane alla tragica ribellione silenziosa di chi non si adegua al sistema, alla sofferta decisione di mandare la figlia in Europa per studiare, alla sofferenza di un’adolescente che vive la sua partenza come un abbandono.
Lo stile narrativo fumettistico rende la lettura immediata. I disegni in bianco e nero, dai tratti essenziali, sembrano non distogliere il lettore dal contenuto della storia, ma piuttosto fargli cogliere l’essenziale.


Persepolis 2 è la continuazione di Persepolis. La storia di Marjane, adolescente iraniana, che approda in Austria per completare gli studi.
Il dualismo tra l’inserimento in un nuovo assetto sociale e il mantenimento del suo senso d’appartenenza portano Marjane a rifugiarsi in un gruppo di amici emarginati quanto lei e a fare esperienze non del tutto ortodosse.
La nostalgia della sua terra, dopo la maturità, la riporta in Iran, dove trova una Teheran diversa da quella lasciata e dove lei stessa si scopre cambiata. Il rientro è faticoso. Vive sulla propria pelle censure, prepotenze e mortificazioni che la portano a considerare l’emigrazione come definitiva.
In questo secondo volume, la narrazione fumettistica rende più immediato e coinvolgente il dissidio interno e la condizione psicologica di una ragazza che va alla ricerca della sua identità, prima ancora che etnica, personale.

(Teresa Ducci)

 

 

Ultimo di una nidiata di tredici topi venuti al mondo in maniera rocambolesca e fortuita nel seminterrato di una libreria di Boston, negli anni '60, Firmino assapora sin dai primi momenti la durezza dell'esistenza: essendo il più piccolo e il più debole, non riesce a succhiare il latte della madre e per sopravvivere si vede costretto a cibarsi dell'unica alternativa possibile, cioè le pagine dei libri che trova intorno a sé. Quel nutrimento, che gli consente di crescere e di fortificarsi, diventa ben presto per lui anche cibo per la mente: Firmino, incredibilmente, impara a leggere e diventa un vorace consumatore di opere di tutti i generi e di tutte le epoche.
Piano piano, però, Firmino inizia a conoscere il mondo esterno: dapprima si tratta soltanto di brevi capatine notturne per procurarsi il cibo, poi di incursioni sempre più lunghe, finché il passaggio si compie e Firmino fa il suo ingresso in quell’universo che da sempre lo attira e al tempo stesso lo spaventa. Attraverso il suo sguardo attento e spesso ironico conosciamo uno spaccato della società americana di mezzo secolo fa, con le sue luci e le sue ombre. Di quel mondo in preda ai cambiamenti, simboleggiati dal piano di ristrutturazione che coinvolgerà anche la libreria, Firmino non riuscirà mai ad essere veramente parte.
Il libro affascina per le molte citazioni letterarie, musicali e cinematografiche che costituiscono una sorta di sfida all'intelligenza, alla memoria e al patrimonio culturale dei lettori, ma che a tratti rischiano di appesantire la narrazione.
Firmino è un personaggio tenero e malinconico, simbolo del lettore appassionato ma anche di un certo tipo di intellettuale di baudelairiana memoria, l’essere privilegiato che, incompreso dai suoi simili, resta inevitabilmente ai margini della società.

(Monica Anelli)

Anni ’50: la guerra si è conclusa da poco, e con essa il ventennio fascista; l’Italia è in mano a uno dei primi governi repubblicani. L’ombra di Roma e dei suoi palazzi del potere si allunga sinistra su una Sicilia “implacabile, vendicativa, bellissima”, in cui alcuni insospettabili parlamentari hanno creato il proprio feudo personale. E in quell’isola lontana, che non ha mai del tutto accettato la presenza di uno stato “esterno”, ma che è vissuta per secoli su un codice inflessibile di norme ataviche e inespresse, arriva il capitano dei carabinieri Bellodi. Arriva dal nord, dall’Emilia, a indagare su due delitti intrisi di mafia, di interessi sotterranei e di omertà. E’ bravo, il capitano Bellodi: è un “uomo”, e non “un mezz’uomo, un ominicchio, un pigliainculo o un quaquaraquà”, secondo la singolare e ormai famosa definizione di un boss locale. E’ un uomo: ma anche gli uomini, anzi, proprio loro, soccombono di fronte alle trame della politica e alla logica corrotta del potere. La legge, arma in cui Sciascia deve credere con laica e lucida razionalità, si rivela alla fine insufficiente, impotente, inadeguata. E la Sicilia, sempre più “incredibile” nella sua passiva immobilità, nella sua indifferenza impunita, diventa metafora dell’Italia e del mondo, un mondo in cui la ragione e la giustizia finiscono per trovarsi spesso, paradossalmente, dalla parte del torto.
Un romanzo-inchiesta scritto in uno stile asciutto, penetrante, pulito; uno spaccato esemplare di quella “sicilianità” di cui tanti grandi autori, da Verga, a Pirandello, a Quasimodo, si sono fatti portavoce.

(Paola Lerza)

Caro lettore, fatti tentare dal titolo e immergiti nella lettura di questo splendido libro che ti stupirà per la grande ricchezza di idee, immagini, riflessioni e spunti a vario livello.
La storia ruota attorno a due protagonisti, Andrea Marescalchi e Vitaliano Caccia. Il primo è un professore di filosofia del liceo di Casalegno, il secondo è un suo studente, brillante ma poco studioso. Questi presupposti offrono a Scurati un canovaccio su cui dipingere un affresco sociale sotto forma di romanzo e delle motivazioni per il gesto inconsulto di Vitaliano, che il giorno dell'esame di maturità elimina freddamente tutti i componenti della Commissione. La polizia lo cercherà per mesi senza mai trovarlo, mentre Andrea vive quei mesi come un sopravvissuto, in compagnia degli agenti di scorta: solo per caso verrà a sapere dov'è finito il suo studente-assassino. La consapevolezza di essere stato una delle cause che lo avrebbero motivato a compiere l'eccidio diventerà la sua ancora di salvezza e la sua forza, distraendolo dall'idea del suicidio e dall'impotenza ad agire.
Egli che è stato risparmiato non è un martire ma non è neppure un eroe. Egli ha “patito in misura eccezionale” ma non ha “fatto qualcosa di straordinario”. Accetterà di riprendere a vivere giorno per giorno in compagnia dei suoi nuovi studenti all'inizio di settembre, come ogni anno.

(Alida Fonnesu)

 

 

Kualid è un piccolo talebano che vive senza il padre in una misera casa. Col cugino Said copre con la terra le buche nelle strade di Kabul, per guadagnare qualche moneta da portare alla mamma e al nonno, con cui vive. La sua esistenza è povera, ma, non conoscendo i colori della vita, Kualid sente solo la mancanza di un sogno: cosa significa sognare? Non lo sa. Said, un giorno, lascia il piccolo centro per andare a studiare il Corano, lasciando Kualid solo e triste, finché non capita, per caso, nella bottega di un calligrafo, ove resta incantato ad osservare la polvere del carboncino, capace di creare segni come per magia, così come la polvere delle ali di una farfalla dà agli insetti la magia del volo.
Babrak, il calligrafo, con i suoi racconti e le sue spiegazioni, permette alla fantasia di Kualid di galoppare in un mondo fatto di luci, colori, speranza. E con la capacità di fantasticare, giunge anche il primo sogno per il ragazzo, anche se il sogno sarà…
Il libro è avvincente, perché mostra non solo la vita semplice di un bambino di Kabul, ma la sofferenza e l’incapacità di avere sogni di tanti afgani, grandi e piccoli, ormai rassegnati alla loro triste e misera vita.

(Enza Ferrigno)

 

Sepulveda sta visitando il campo di concentramento di Bergen Belsen in Germania, quando ad un tratto su una pietra trova incisa una frase: ”Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia”. L’autore è anonimo, non si sa se sia un uomo o una donna; la sua vicenda è sfuggita al ricordo dei posteri perché nessuno l’ha fissata in un racconto. In quel momento avviene qualcosa di straordinario: arrivano direttamente dai ricordi di Sepulveda una serie di persone che simbolicamente vogliono allontanare l’oblio da quella pietra. Citate una per una, rimangono tuttavia sconosciute al lettore perché tutte appartenenti a quella gente comune che nessuna pagina di storia ricorda. “Io capii che dovevo raccontare le loro storie”. Così Sepulveda dà inizio ad una carrellata di racconti dove storie di naturale e spontaneo eroismo appartenenti ai vari continenti scorrono davanti al lettore coinvolto dalla semplicità e nello stesso tempo dalla grandezza di quelle vicende. L’esperienza del viaggio e dell’incontro lega i trentaquattro personaggi, accomunati dalla volontà di resistere sempre e comunque a ciò che non è giusto: soprusi politici, danni ambientali, dolori della vita. Alla fine della lettura si acquisisce la consapevolezza del ruolo che ognuno può avere nella lotta alle ingiustizie ed ai soprusi, ma soprattutto la certezza che, come afferma una canzone famosa, “la storia siamo noi”.

(Rossella Francesconi)

Forse raccontare le trama di questo romanzo porterebbe il lettore su una strada sbagliata. La storia infatti non manca di nessuno degli ingredienti del romanzo giallo: la misteriosa scomparsa di Violeta, il ritrovamento dei suoi diari da parte di Josefa, un tentativo di stupro, un omicidio, un processo.
Ma in realtà tutto questo non è che lo sfondo per raccontare una fortissima amicizia tra donne, che sopravvive a tutto: dolori, passioni, matrimoni sbagliati, abbandoni, esilio. La vicenda si svolge tra Cile e Guatemala. È ad Antigua che le due amiche ritroveranno la loro anima. Ma  è soprattutto  grazie al loro profondo legame che Violeta e Josefa riusciranno a ritrovare se stesse e una nuova vita.
"Una donna è la storia di piccolezze, banalità, incombenze quotidiane, è la somma del non detto (...) Ed è la storia delle sue radici e della sua origine, di tutte le donne che furono nutrite da altre che le precedettero affinché lei potesse nascere: una donna è la storia del suo sangue. Ma è anche la storia di una coscienza e delle sue lotte interiori. Una donna è la storia di un'utopia."

(Daniela Borsato)

Un gruppo di donne famose, comuni, ferite, tristi e in cerca di conforto trova rifugio in un albergo ai confini del mondo. Esso è gestito da Elena, psichiatra che ha trovato la tranquillità. Una delle ospiti è Floreana che ricomporrà i frammenti della propria esistenza risvegliandosi alle emozioni e sciogliendo i nodi che la legano al passato e alla sofferenza.
Un altro tema è quello del tempo: scorre tra le pagine nella descrizione dei sentimenti, dei ricordi, degli eventi,  del trapasso di alcuni personaggi, del lutto, dei cambiamenti nel rapporto tra i due sessi.

(Alida Fonnesu)

“Vi regalo un pensiero, ragazze, perché possiate dormire tranquille: la cosa migliore è essere assolutamente banali. Che nessuna si senta svilita perché non è stata un’eroina… essere obbligate a morire, sognando la terra a cui non si fece mai ritorno…”
Quattro amiche, Ana, Maria, Isabel e Sara decidono di lasciare impegni e famiglie per ritrovarsi dopo tanto tempo.
Nella casa sul lago si raccontano a briglie sciolte per ritrovare il bandolo delle loro esistenze, per chiarire, soprattutto a se stesse, il senso della loro vita.
Quattro storie diverse ma tutte ancorate alla Storia del loro paese: un Cile politicamente inquieto, in transizione dalla dittatura di Pinochet verso il moderno assetto politico.
Quattro donne che si ascoltano, che prestano attenzione e conforto alle pene e ai dolori accumulati e che mutuano la forza e il coraggio di srotolare il fascicolo di ognuna.
Storie diverse, raccontate con la stessa franchezza e apertura come in un confessionale, senza pudore. Storie in cui ogni donna può trovare una piccola parte di se stessa.

(Teresa Ducci)

 

                                                      

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