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"Le voyage d’hiver" di Amélie Nothomb tratta uno dei temi cari all’autrice: la morte, attraverso un intreccio complicato e sentimenti profondi che il titolo, con il riferimento alla stagione più gelida dell’anno, sembra non confermare. La storia si snoda attraverso situazioni paradossali, che richiamano implicitamente quelle ben note del romanzo dell’assurdo, nel resoconto di una vicenda personale. Il narratore Zoïle, impiegato nella grande impresa francese dell’elettricità EDF-GDF, segnato da un’esperienza adolescenziale mistica e “fisica” nel contempo, la ritraduzione dell’Odissea ( chiuso in una baita di montagna) quando va a casa di Astrolabe, agente letterario di una scrittrice diversamente abile, Aliénor, a cui si dedica pienamente , per presentare un nuovo piano di elettricità per la casa senza riscaldamento, rimane affascinato dalla loro scelta coraggiosa e si innamora subito della donna, la quale non riesce a ricambiare il sentimento. Sarà proprio il rifiuto che scatenerà in Zoïle la rabbia con la conseguente idea del suicidio-omicidio, attraverso un dirottamento aereo con schianto sulla Torre Eiffel, monumento parigino preferito da Astrolabe e concepita come l'iniziale del suo nome, la lettera A (forma, lo si apprende nel corso della storia, intesa come dedica ad un amore dell’ideatore del simbolo parigino). Il finale lascia al lettore la possibilità di attivare un proprio immaginario. Il racconto si conclude, infatti, con l'ingresso del narratore nell'aereo: nessuno sa se l’attentato avrà luogo. Filo conduttore della storia è il viaggio, inteso in tutte le sue accezioni inclusa quella di passaggio ultimo. Lo stile secco e asciutto rende immediate le sensazioni di solitudine e tristezza dell’animo provate dal protagonista e gioca sull’assurdo, sulla malattia e, in ultimo, sulla morte. Inaspettate, in questo quadro, risultano le ultime parole del libro "Le printemps va pouvoir commencer" che contrastano con il titolo.

(M. Pompea Coluzzi)

  

“Il mezzo più efficace per imparare il giapponese mi parve insegnare il francese. Lasciai un annuncio al supermercato: "Lezioni private di francese, prezzo interessante."
La sera stessa squillò il telefono. Prendemmo appuntamento per l'indomani, in un caffè di Omote-Sando. Io non capii come si chiamava lui, lui non capì come mi chiamavo io. Quando riattaccai, mi resi conto che non avevo idea di come lo avrei riconosciuto, e lui idem. E poiché non avevo avuto la presenza di spirito di chiedergli il numero di telefono, chissà come avremmo fatto. "Probabilmente mi richiamerà" pensai.
Non mi richiamò. Dalla voce mi era sembrato giovane. Elemento che non mi avrebbe aiutato granché. Non mancava certo la gioventù a Tokyo, nel 1989. Tanto più in quel caffè di Omote-Sando, il 26 gennaio, intorno alle tre del pomeriggio.
Non ero l'unica straniera, proprio per niente. Eppure, si diresse verso di me senza esitazioni.
— Lei è l'insegnante di francese?
— Come fa a saperlo?
Alzò le spalle. Molto rigido, si sedette e tacque. Mi resi conto che l'insegnante ero io e che toccava a me occuparmi di lui. Gli rivolsi alcune domande e appresi che aveva vent'anni, si chiamava Rjnri e studiava il francese all'università. Lui apprese che io avevo ventun anni, mi chiamavo Amélie e studiavo il giapponese. Non capì di che nazionalità fossi. Ci ero abituata.
- A partire da questo momento, non si può più parlare inglese - dissi.
Inizia in questo modo, il romanzo “Ni d'Eve ni d'Adam” della scrittrice belga Amélie Nothomb. Una storia incentrata sul sentimento, che nasce come rapporto di lavoro: il giovane giapponese, Rinri, vuole imparare il francese; Amélie, da poco tornata nella terra del Sol Levante dopo tanti anni ed in cerca di lavoro, pubblica un annuncio per dare ripetizioni. Il Giappone, paese amato da Amélie, custodisce i suoi ricordi d’infanzia. Tuttavia molte situazioni imprevedibili della quotidianità, di due ragazzi che si ritrovano innamorati, tra stupore e divertimento, mettono in evidenza la differenza tra modi e costumi differenti. Non mancano, in proposito, le situazioni imbarazzanti: gli incontri con i familiari di Rinri (i nonni, in particolare) e con le rispettive sorelle. Non mancano le escursioni,le vacanze, le conversazioni. Non manca la condivisione di gesti ed abitudini personali che diventano scoperta per entrambi.
Tutto porterebbe ad intravedere le premesse di un legame solido. Premesse, che si scontrano con il desiderio di libertà e di indipendenza della protagonista, che trova nella fuga (un biglietto di sola andata per l’Europa) il mezzo per sfuggire ad una scelta di vita non definitiva. “Gli indirizzai un discorso mentale: “Vecchio amico, io ti amo. Non ti tradisco partendo. Può capitare che fuggire sia un atto d’amore. Per amare, bisogna essere liberi. Parto per preservare la bellezza di ciò che provo per te. Non cambia nulla”.
Scorrevole la lettura, delicato, pudico ed ironico il racconto della storia amorosa, forte il senso di appartenenza alle radici culturali delle origini. Un romanzo che, sotto l’aspetto di una trama banale, costituisce motivo di confronto e di arricchimento culturale.

Versione italiana: "Né di Eva né di Adamo", Edizioni Voland, 2008.

(M. Pompea Coluzzi)

 

                                                      

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