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Henri Charrière, conosciuto negli ambienti della malavita col nome di Papillon per il tatuaggio a forma di farfalla che ha sul petto, non ha mai commesso il delitto di cui viene accusato. Ma la giustizia francese degli anni ‘30 gli dà torto e lo condanna ai lavori forzati a vita nel terribile bagno penale della Guyana. Il solo nome della colonia d'oltreoceano suona come una condanna senza via di scampo, un addio definitivo al mondo civile: un ambiente inospitale e invivibile per un europeo, clima torrido caldo umido, insetti di ogni specie e dimensioni, malattie incurabili, igiene pressoché nulla, lavoro duro e maltrattamenti. E soprattutto impossibilità di evadere. Eppure, questo è l'unico pensiero fisso di Papillon: fuggire, tornare in Europa e vendicarsi di chi l'ha ingiustamente fatto relegare, a soli 25 anni, in un incubo senza ritorno. Papillon è giovane, sano, intelligente, carismatico e soprattutto è uomo di parola. Di lui tutti hanno stima e rispetto, ne sono in qualche modo soggiogati, dai compagni di pena, ai secondini, ai personaggi che casualmente egli incontra durante le sue mille peripezie.
Tratto da una storia vera, il libro si snoda attraverso avventure rocambolesche, tentativi più o meno falliti di fuga, gesta spericolate e al limite del credibile. Episodi durante i quali gli incontri si susseguono a velocità vertiginosa, e sono incontri che dimostrano tutti come i vizi e le virtù degli uomini siano uguali dappertutto, a prescindere dalle differenze sociali, razziali e culturali. Papillon riceverà solidarietà e comprensione da indigeni, ecclesiastici, lebbrosi, condannati e autorità. Il rischio di andare incontro a tradimenti e fregature è lo stesso in ogni ambiente, ma il protagonista affronta tutto con coraggio, in nome di un attaccamento spasmodico a quella vita che gli è stata precocemente e ingiustamente negata.
La speranza è forse il valore più alto il più sacro per Papillon, insieme all'amicizia, in nome della quale anche i peggiori criminali sono disposti a rischiare la pelle, secondo la logica della solidarietà disperata degli infelici e dei reietti.
Un libro multietnico e straordinariamente variegato, scritto da un profondo conoscitore della psiche umana, pur nella sua apparente semplicità; uno stile asciutto, essenziale ma preciso al dettaglio anche nelle descrizioni dei luoghi esotici che fanno da sfondo a queste appassionanti avventure. Un bel libro davvero, da cui fu tratto un grande film nel 1973 con Steve Mc Queen e Dustin Hoffman.

(Paola Lerza)

"Lucy Anguiano, ragazzina texana che odora di granturco, come le patatine Frito Bandito, come le tortillas, tipo quel buon odore di nixtamal o di pane, così odora la sua testa quando la china vicina a te su una pupazza ritagliata oppure sotto la veranda quando stiamo accovacciate sulle biglie…”
Così inizia il primo racconto di questa raccolta. Risveglio di olfatto e non solo.
Le musiche, i suoni, i sapori della cultura chicana sono sempre in primo piano. Quella cultura che si sviluppa sul confine tra il Messico e gli States, ferita aperta lungo il Rio Bravo, Rio Grande. Cultura di immigrati non integrati, cultura dalla doppia nazionalità, alla ricerca della propria identità.
Cultura nutrita dalle donne.
Donne che parlano spanglish, sospese tra telenovelas e tradizione, sognando nomi di speranza per i propri figli.
Donne che, attraversando quel confine, fuggono e tornano, da amori e verso amori spesso dolorosi, raramente gioiosi.
Donne che lottano e donne rassegnate, in un caleidoscopio di colori, odori, sapori e sentimenti, che ci accompagnano al ritmo di una sensualità tutta femminile.
Storie di bambine, di ragazze, di donne mature. Frammenti, confidenze sussurrate o cantate, vissute o ascoltate
Tutto quello che potrebbe essere drammatico viene apparentemente filtrato dagli occhi delle protagoniste, dotate di una forte, solare, ironia, di una visione fanciullesca esuberante e passionale, mai banale o riduttiva.
Quello che non si può filtrare è l’amarezza, la disillusione di chi vive il ruolo femminile in maniera fortemente subalterna. “Ma quando il momento arrivò e lui le diede uno schiaffo e poi un altro e poi un altro fino a che il labbro non le si spaccò e produsse un’orchidea di sangue, lei non si ribellò, non scoppiò a piangere, non scappò via…”
La forza delle donne, però, non si arrende e Lupe, la pittrice dell’ultimo racconto, chiude così la sua storia d’amore “Perché è solo oggi, oggi. Senza darsi pensiero del passato o del futuro. Oggi. Evviva, evviva!”

(Maria Cristina Rosa)

La prima cosa che si prova mentre si legge questo libro è un senso di spaesamento e di leggera angoscia: spaesamento per il vuoto provato e per gli appigli che non si riescono a trovare nel proprio piccolo mondo; angoscia per qualcosa che invece sembra debba accadere e a cui si è attratti fortemente, al punto da riconoscersi solo dopo, quando tutto è ormai lontano. È ciò che prova la protagonista di questo romanzo bellissimo, Evie, un'adolescente di quattordici anni della California degli anni '60 che vive le sue giornate nella più assoluta e totale normalità. Sembrerebbe la classica storia di una ragazzina che si sente già persa in partenza e che vorrebbe dalla vita qualcosa di più di una semplice bravata con l'amica del cuore. In realtà, Evie naviga dentro un vuoto incolmabile: figlia di due genitori separati, presi entrambi dalle loro vite irrealizzate e forse irrealizzabili, quasi sembrano non accorgersi del suo cammino in bilico, mentre lei percepisce ogni loro inesattezza. Finchè un giorno non incontra "Le ragazze", poco più grandi di lei ma – per via del loro stile di vita – sembra esserci un divario. Evie ne resta folgorata, soprattutto venera Suzanne, con i suoi capelli neri e lo sguardo gelido ma attento ai particolari, fino a sentirsene in completa simbiosi. Vivono all'interno di un ranch insieme ad altre ragazze come loro, e le loro menti sono completamente assorbite e domate dalla personalità di Russell, una sorta di guru spirituale che non accetta la vita come convenzione: ognuno deve andare per la propria strada, convivere con il prossimo, amarlo e accettarlo senza remore. Sembra non vi sia alcuna perfidia in questo principio forse un po' hippie per quegli anni, ma sotto questo potere si nascondono brutali giochi di sesso, falò dal sapore di alcool e droghe, gelosie nascoste e mai espresse per un principio di gruppo, identità che si mescolano, scambi di vestiti usati e riusati perché devono essere simili. E a Evie piace sentirsi così simile a tutti loro: l'appartenenza che non ha trovato dove doveva, l'ha finalmente afferrata dove è capitata. È una storia che si ispira alla vicenda di Charles Manson, il capo della setta che in quegli stessi anni compì la strage nella casa del regista Roman Polanski, uccidendo la moglie incinta di otto mesi ed altre quattro persone, attorniato esattamente da ragazze abbindolate e rivoluzionate, non solo perché erano gli anni '60. La realtà di tale vicenda si ripete in questo libro, ma occorre leggerlo fino all'ultima pagina per non cadere nella scontatezza e per poter toccare il suo senso più profondo e bellissimo: la brutalità come passaggio, per arrivare.

Considerato il caso letterario del 2016, la ventottenne Emma Cline ha riscosso un grande successo con questo romanzo scritto qualche anno prima, a soli ventitré anni, con uno stile in grado di afferrare ogni più piccola sensazione di un quotidiano apparentemente sfuggente. Lo scetticismo che un lettore attento ai libri d'oggi può provare per una simile acclamazione letteraria scompare allo scorrere delle sue pagine, tutte, dal volto a metà della ragazza in copertina fino alle ultime righe, che lasciano dentro un senso, un segno.

(Chiara Canu)

La narrazione in prima persona mi ha sempre affascinato.
Il romanzo, un thriller a dire il vero piuttosto macabro, ti trascina in un susseguirsi di colpi di scena: personaggi che sembrano una persona e che si rivelano poi tutt’altro, eventi che incalzano uno dietro l’altro senza che si abbia il tempo di metabolizzarli appieno.
Tuttavia, passati i pochi giorni necessari alla sua lettura, Svaniti nel nulla non ti lascia nulla; come velocemente si lascia leggere, con altrettanta velocità si fa dimenticare.
Avrebbe potuto essere buona la trama, lodevole la fantasia dell’autore, se non fosse incorso nell’errore di volerla condire troppo: troppe figure al limite della normalità, troppa voglia di vendetta, troppa violenza…insomma, troppo di tutto anche per una metropoli come la Grande Mela.
Un vero peccato. A volte, il voler strafare non porta lontano.
Data la quantità notevole di opere d’arte letterarie prodotte dal genere umano, non è questo un libro che mi sentirei di consigliarvi. Ma sicuramente, una volta iniziato “Svaniti nel nulla”, è difficile lasciarsi allettare dalla tentazione di abbandonarne la lettura.

(Fanny Grespan)

 

 

Un titolo denso di significati, un autore che è una garanzia, una trama intrigante ed invitante: queste le premesse e le promesse di una lettura che ho volutamente rimandato all’estate, per godere appieno della magia della scrittura di Coelho.
Abilmente costruito sulla successione temporale scandita dall’indicazione delle ore che segnano l’inizio di ogni capitolo, il romanzo si svolge tutto nell’arco di una giornata che pare interminabile: dalle ore 3:17 AM alle ore 11:11 PM. Una giornata come tante, inserita nell’avvenimento mondano più importante di Cannes: il Festival cinematografico. In questo contesto, descritto come un insieme caotico di attori, registi, giornalisti, persone che contano, ricchi, ville, automobili e alberghi di lusso, Igor Malev – un importante e ricchissimo imprenditore russo che si è fatto da sé – inizia a realizzare il piano che gli permetterà di raggiungere ciò che ormai è diventato il suo unico obiettivo: riconquistare Eva, la sua ex moglie, “distruggendo mondi”, cioè uccidendo a caso delle persone sconosciute per inviare ad Eva dei messaggi che solo lei può sicuramente comprendere e decifrare. Si rivela così nel protagonista una personalità contorta e malefica, da psicopatico, in una lucidità inquietante che avvince e coinvolge il lettore. Nella vicenda personale di Igor, si intrecciano gli incontri con altri personaggi, anch’essi abilmente costruiti e descritti con il consueto approfondimento psicologico che caratterizza tutti i personaggi di Coelho.
Insomma, un romanzo da leggere tutto d’un fiato… ma la presenza di un gran numero di digressioni, ampie, particolareggiate e inutilmente prolisse, rallentano impietosamente il ritmo della narrazione: il mondo della moda, i meccanismi perversi del mondo del cinema, il mito della celebrità e del successo, l’arrivismo e l’ambizione, gli interessi economici più o meno leciti dietro un avvenimento che diventa un affare colossale per tutti, vengono descritti così minuziosamente che spesso si perde il filo della narrazione e si ha l’impressione di leggere un altro libro, un’inchiesta giornalistica su questa società malata. Deludente: 445 pagine che ho letto a fatica e spesso anche con un po’ di noia.

(Liliana Manconi)

 

Rileggendo la storia di Pinocchio come un esempio per migliorarci, ci accorgiamo degli innumerevoli ostacoli, delle prove da affrontare e della volontà necessaria per superare il nostro egoismo e divenire più responsabili verso noi stessi e gli altri. In effetti, il passaggio da “pezzo di legno” a ragazzo è un salto di qualità nella consapevolezza di ognuno. Questo passaggio è reso possibile da due fattori: l’amore e l’esperienza. L’amore è presente da subito nel pezzo di legno che possiede un’anima, piange e si lamenta, cerca conforto e compagnia, trovandoli in Mastro Geppetto, anche lui ammalato di solitudine, ma ricco di fantasia ed umanità. Un amore altrettanto forte, ma forse meno umano e più “rispettoso” è quello che lega Pinocchio alla Fata dai capelli turchini, prima, per lui, sorella, poi madre… poiché il tempo non passa solo per il burattino, che non cresce nonostante tutte le sue disavventure; la Fata appare dolce ma nello stesso tempo autorevole, segue e guida il proprio ragazzo da lontano, lasciando che sbagli e che comprenda i propri errori, intervenendo solo quando è strettamente necessario. L’amore è presente anche nei tanti personaggi “burberi” che Pinocchio riesce, con la propria ingenuità e con l’innocenza del proprio animo, a commuovere: il cane Alidoro, il Pescatore, Mangiafuoco, il ciuchino che invano cerca di avvisarlo del pericolo cui sta andando incontro… Ad essi fanno riscontro i personaggi realmente “negativi” come il Gatto e la Volpe, Melampo, Lucignolo, l’omino di burro: ma tutti costoro sono necessari affinché Pinocchio faccia le sue esperienze e capisca la differenza tra il bene ed il male. Infine Pinocchio si salverà, perché in lui prevarrà la parte migliore: la sua bontà d’animo. Pinocchio dimostrerà che, per amore, è pronto a sacrificare se stesso…e sarà salvo: si sveglierà ragazzo. Così ognuno di noi, nella propria vita, deve affrontare pericoli, tentazioni, esperienze positive e negative attraverso le quali può e deve crescere, per diventare responsabile e capace di aiutare se stesso e gli altri, con l’amore e la fiducia. Pinocchio siamo noi. Se non ci arrenderemo davanti alle difficoltà, se sapremo imparare dai nostri errori, se impareremo ad apprezzare il bene ed a farlo anche quando ci risulta difficile… non saremo più burattini, ma veri uomini e vere donne.

(Gabriella Nasi)

Mauro Corona è nato ad Erto ed è un sopravvissuto della strage del Vajont. Boscaiolo, alpinista, scultore in legno e infine scrittore, in questi ventisei racconti narra storie di boschi, animali, montagne. Storie di fatica, di fame, di confronto tra uomo e natura. Mestieri scomparsi, vite disperse, come quella dell’intagliatrice di cucchiai che viaggia per tutta la vita e infine si ritira al paese e non lo vuole lasciare nemmeno dopo il disastro. Un mondo distrutto in soli quattro minuti il 9 ottobre 1963, quando 270 milioni di metri cubi di terra si staccarono dal Toc e provocarono un’onda che travolse case, boschi, vite umane, un mondo intero comunque destinato a scomparire, ma il cui ricordo è ancora più favoloso perché la scomparsa è stata improvvisa, una violenta frattura che ha lacerato vite, legami e coscienze. Mauro Corona abita ancora a Erto, scala montagne e intaglia il legno. Ha collaborato al film “Vajont”. Se vi capita di passare da quelle parti, andate a conoscerlo, ne vale la pena.

(Daniela Borsato)

 

                                                      

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