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NARRATIVA RH-RO
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Autore: Mario RIGONI STERN
Titolo:
Il bosco degli Urogalli
Editore: Einaudi
Anno: 1962 |
Dopo “Il sergente nella neve”,
pubblicato nel 1953, Rigoni Stern dovette aspettare il 1962 per essere
riconosciuto come vero scrittore, fuori dai limiti del racconto di memoria.
“Il bosco degli urogalli” è un
libro di racconti in gran parte ambientati sull’altipiano di Asiago: storie
di caccia, di guerra, di animali e boschi. Protagonista assoluta è la
natura, a cui appartengono anche gli uomini dell’altipiano, con le loro
storie di povertà, emigrazione, fatica.
Io trovo straordinario il
primo racconto “Di là c’è la Carnia”. Il protagonista torna a casa dalla
prigionia attraversando a piedi mezza Europa senza pronunciare una parola;
l’unica voce è quella del vecchio zio, che lo accoglie dopo anni di
lontananza: - Domani dobbiamo zappare le patate.
Racconti di gesti elementari,
di gente radicata alla propria terra come i larici dell’altipiano, ma
nonostante questo o proprio per questo capace di esprimere valori
universali.
(Daniela Borsato) |
Autore: Mario RIGONI STERN
Titolo: Stagioni
Editore: Einaudi
Anno: 2006 |
Luoghi molto diversi e lontani tra loro: l’altipiano
di Asiago, la Russia, Versailles, l’Istria, la Puglia… Tempi diversi e
distanti: dai giochi dell’infanzia alle prime esplorazioni della montagna,
ai ricordi della Grande Guerra, all’altra terribile guerra vissuta dagli
alpini in Russia e dai partigiani sull’altipiano, ai nostri giorni distratti
e superficiali. Storie e percorsi scanditi dal passare delle stagioni. La
protagonista assoluta è la natura: gli alberi, i frutti, gli animali della
montagna, le nevi, il sole, il mare. Uno sguardo attento e amoroso ad ogni
particolare, ad ogni voce, ogni traccia. Rigoni Stern conosce e racconta la
vita e la morte di ogni creatura con il rispetto e l’affettuosa
partecipazione di un uomo che ha imparato che cosa sia veramente importante.
Lo stesso armonioso rispetto è consegnato in dono agli uomini silenziosi e
forti che in questi luoghi sono vissuti, hanno faticato e sofferto o si sono
perduti nell’atroce assurdità delle lontane stagioni della guerra.
Sono sicura che dopo aver letto questo libro vi verrà il desiderio di
accompagnare l’autore a camminare nei boschi dell’altipiano. Ma dovrete
imparare a stare in silenzio, se volete vedere le pernici bianche e
l’urogallo alzarsi in volo.
“ Chi cerca di non perdere tempo, si perde. Quando faccio le mie passeggiate
in montagna, cammino col passo e col pensiero. Camminando mi ricordo di
fatti vissuti o raccontati. E mi viene voglia di scriverne.” (da
un’intervista all’autore)
(Daniela Borsato) |
Autore: Mario RIGONI STERN
Titolo: Storia di Tönle
Editore: Einaudi
Anno: 1979 |
Sull’altipiano di Asiago, per secoli, si è parlata
“l’antica lingua”: un dialetto di origine tedesca, portato dai boscaioli
bavaresi che si stabilirono anticamente in queste valli ed erroneamente
furono chiamati Cimbri. Tönle, invece, di lingue ne parla molte: per tutta
la vita è stato un fuggiasco, da quando ha ferito una guardia di finanza ed
è stato costretto a lunghi periodi di emigrazione clandestina in tutta
Europa. Ma Tönle torna sempre, di nascosto, tutti gli inverni, alla sua casa
dell’altipiano, sul tetto della quale è cresciuto un ciliegio. Vende stampe
in Russia, coltiva giardini a Praga, ma torna sempre a casa. Passano gli
anni, arriva l’amnistia, ma per Tönle è tardi: è vecchio, i figli sono
grandi, la moglie muore. È il 1915, scoppia la guerra: Tönle continua a fare
il pastore e a vivere nella casa del ciliegio, ostinatamente ignora gli
inviti a sfollare con gli altri, sempre più arrabbiato e solitario, tra i
massacri e le distruzioni, rimane a difendere la sua antica civiltà di uomo
di confine che i confini ha sempre ignorato. Viene fatto prigioniero dagli
austriaci, fugge, si avvia di nuovo a piedi verso casa, la trova distrutta,
fugge di nuovo e trova infine la pace appoggiato a un albero, con la sua
pipa spenta.
Di questo libro mi piace il silenzio che avvolge il protagonista, uomo di
molti mestieri e di molte lingue, che tace e cammina solitario tra le
foreste dell’altipiano e quelle del mondo, ma si difende dalla stupidità del
potere percorrendo un’unica strada, quella che lo riporta al solo luogo al
mondo a cui sa di appartenere.
(Daniela Borsato) |
Autore: Gianni
RIOTTA
Titolo: Ombra
Editore: Rizzoli
Anno: 1995 |
Questo romanzo ha come
sottotitolo “Un capriccio veneziano”. Ed è appunto un capriccio, una favola
volutamente sconclusionata. In una Venezia più che mai decadente e decaduta
si muovono personaggi da fumetto. Ralph Satori, ambiguo miliardario
giapponese che vuole imporre al sindaco Ursula Liaghi un fantastico piano
per salvare la città; Lee Miller, famosa telegiornalista in fuga dal
passato; Gianluca Crema, cronista alle prime armi, impacciato quanto basta
ma coraggioso al momento giusto Spritz, il barista ex-galeotto; alcuni
fantasmi di buona volontà.
Inutile cercare la
logica in questo strampalato racconto; tra apocalittiche invasioni di
“pantegane” che fanno il surf in Canal Grande, acque alte catastrofiche,
colpi di scena fantasiosi, fino all’improbabile lieto fine, tra un piatto di
“sardele in saor” e un’”ombra” di vino bianco, ci si diverte un mondo nel
vedere il coraggio, l’integrità e il senso dell’umorismo avere la meglio
sull’arroganza dei potenti. Particolarmente appuntita la penna dell’autore
nel raccontare di giornalisti cinici e voltagabbana.
Un capriccio che ha come protagonista una città straordinaria, prigioniera
di un grande passato, dove si aggirano i fantasmi, le “ombre”, di Byron e
Giordano Bruno. E per una volta niente luoghi comuni su Venezia che muore,
meno male.
(Daniela Borsato) |
Autore: Joseph ROTH
Titolo: La cripta
dei cappuccini
Editore: La Biblioteca di Repubblica
Anno: 2002 |
In un’Austria che va dalla vigilia della prima guerra mondiale all’umiliante sconfitta e all’apparire delle nuove ideologie naziste, il giovane Francesco Ferdinando Trotta vive da spettatore estraneo al di fuori del proprio tempo e della nuova realtà storica che nasce e si espande sulla distruzione dell’impero austro-ungarico.
Ultimo erede di una famiglia dalle umili origini, divenuta nobile in virtù delle gesta eroiche di uno zio, Sottotenente di fanteria, che nella battaglia di Solferino aveva salvato la vita all’imperatore Francesco Giuseppe, il frivolo Trotta abituato a vivere alla giornata, o meglio “alla nottata perché di giorno dormiva”, frequenta l’allegra compagnia di giovani aristocratici condividendone “la scettica leggerezza, la malinconica presunzione, la colpevole ignavia, l’arrogante dissipazione” , incapace di cogliere i sintomi di un impero che sta morendo.
L’esperienza della guerra da cui esce “vivo per errore”, è il germe della consapevolezza delle responsabilità individuali e collettive dei cambiamenti e della caduta, ma anche il momento della rassegnazione di chi per scelta o inettitudine continua a vivere nel suo ruolo di spettatore. Al suo ritorno ritrova un mondo sconosciuto, per sopravvivere si lascia trascinare - dalla moglie e dal suocero- in imprese destinate al fallimento ancor prima della loro nascita. Sempre più solo ed estraneo agli avvenimenti che lo circondano, vede andare in frantumi tutti i valori di un mondo sicuro e confortevole nel nome di una ragione violenta e individualista; perso e sconfitto, scende nella Cripta dei Cappuccini, luogo che raccoglie le tombe degli imperatori dell’Austria, per porsi una domanda che non ha risposta “Dove devo andare, ora, io un Trotta?...”.
Qualcuno ha definito il libro come un canto d’amore per l’Austria imperiale e
asburgica, tuttavia Roth non esprime giudizi o condanne, si limita a descrivere
con lucida consapevolezza di narratore e di protagonista una realtà che gli
appartiene e che ha segnato la sua vita.(Lucia Bartoli) |
Autore: Joseph ROTH
Titolo: La leggenda del santo bevitore
Editore: Adelphi
Anno: 1939 |
Non
ricordo il motivo, o forse non l’ho mai saputo, ma per la mia generazione
questo libro era un cult. Parlo della generazione del ’77, quella che la
parola “cult” non la conosceva proprio. Era, comunque, una lettura
obbligatoria. Come il pernod. Che, detto tra noi, non piaceva mica a tutti.
Ma il libro sì. La storia del clochard Andreas ci incantò.
“Cosa vi incantò, in questa vicenda? Accadde tutto nel 1937, se non sbaglio, quarant’anni prima…
I vostri genitori erano forse bambini, non possono aver ricordato… Ma
lasciate che mi presenti… Mi chiamo Andreas Kartak e, un numero imprecisato
di anni fa, giunsi dalla Slesia in Francia per lavorare nelle miniere. Non
ricordo come e quando, arrivai poi a Parigi, a vivere sotto i ponti della
Senna. A fare il clochard, insomma.
Era primavera quando
feci un incontro che, per quanto possibile, cambiò la mia vita. Un perfetto
sconosciuto, di mezza età, elegante, distinto, mi offrì duecento franchi,
con l’unica richiesta di restituirli alla “piccola santa Teresa”, nella
chiesa di Santa Maria di Batignolles.
Mi sembrava,
finalmente, che la mia vita avesse uno scopo, restituire la somma alla
piccola Teresa. Ma ogni volta che ero vicino all’adempimento della promessa,
lasciavo che qualcuno, qualcosa, me lo impedisse. Chi? Cosa? Vecchi amici
ritrovati, donne, grandi bevute di pernod…
Il passato interveniva
dolcemente nel presente, sembravano folate di vento ma erano incontri
insoliti, ricordi, emozioni. E mi lasciavo lievemente prendere dal vortice,
come una foglia di platano in autunno sul Lungosenna, tra malinconia e
tenerezza.
Dicono che chi ha
raccolto questa storia, un tale Joseph Roth, proveniente come me dall’Est
dell’Impero Asburgico, l’abbia fatto per un curioso senso di similitudine
con la sua, di storia. Che ne abbia voluto fare una sorta di testamento
spirituale…
Dicono tante cose.
Voi
vorrete sapere se mi riuscì di mantenere fede a questo voto, così
apparentemente inutile… Ci sarà da qualche parte un bistrot ancora aperto,
credo. Andiamo a parlarne davanti ad una bottiglia di pernod.”
(Maria Cristina Rosa) |
Autore: Pino ROVEREDO
Titolo: Mandami a dire
Edizioni: Bompiani
Anno: 2005 |
Sarebbe giusto iniziare parlando della vita di Pino
Roveredo. Della sua famiglia, della sua giovinezza e proseguire tra sentieri
sassosi e relativi ruzzoloni per arrivare al faticosissimo ma lieto fine,
per tirare un sospiro di sollievo e far emergere un po’ di buoni pensieri.
Di quelli che fanno tanto bene al cuore. Che poi, in tempi come questi, c’è
tanto bisogno, vero, di speranza, di riscatto, di superamenti… Vabbè, se
volete ‘ste cose vi cercate le notizie sul web. Punto. Anche del libro,
certo, si parla anche del libro. E allora che senso ha scrivere/leggere
questa recensione? Proprio perché questa non è una recensione. È un libro
che virtualmente vi presto… lo metto qui e vi consiglio di leggerlo. Questo
in particolare. Un po’ prima degli altri, è breve e si fa presto. Poi sono
racconti, se ne possono leggere un paio, a casaccio. Ma non perdete “Mandami
a dire”, struggente lettera d’amore non si sa a chi, non si sa dove. E
neppure il primo, dedicato ai genitori sordomuti. Nella prefazione di Magris
troverete tutto il trovabile. Posso solo, oh quanto umilmente!, aggiungere
che il narrare di Roveredo arriva come un morso allo stomaco per diventare
carezza al cuore, come il dolore quando diventa arte. Quando la forza di
urlare il proprio disagio e le proprie paure è “aliena da ogni pathos
moraleggiante e da ogni ideologia dell’impegno” (Magris), si può piangere,
sorridere, gioire, senza sentire la melassa nauseante dei buoni pensieri.
(Maria Cristina Rosa) |
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