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"Un'opera notevole, imponente per concezione ed esecuzione... insieme romanzo, documentario, libro di memorie e fumetto. (...) Geniale, davvero geniale". Così il grande cartoonist Jules Feiffer ha definito la storia delle vicende dolorose di una famiglia di ebrei polacchi dalla metà degli anni 1930 all'inverno del 1944: la famiglia è quella di Art Spiegelman e la voce narrante dell'opera è quella di suo padre, sopravvissuto alla Shoah. Per raccontare questo dramma familiare ed epocale Spiegelman sceglie la strada del fumetto allegorico: gli ebrei sono rappresentati sotto forma di topi, da cui il titolo, i nazisti di gatti e i polacchi di maiali.
Oltre all'aspetto storico e documentario, di grande valore, emerge dal racconto, in tutta la sua complessità, anche il rapporto tra l'autore e suo padre, che Spiegelman intervista a più riprese per raccogliere il materiale per il libro: è durante questi incontri che vengono a galla tensioni sopite, ricordi drammatici, sensi di colpa e sorde accuse reciproche. L'opera è costruita, quindi, su un intreccio nel quale si alternano il presente delle conversazioni tra Spiegelman e il padre e il passato che emerge sotto forma di flashback.
I disegni sono asciutti, in bianco e nero: eppure i personaggi sono resi con pochi tratti in tutta la loro intensità. La condensazione degli eventi, familiari e storici, nella forma grafica di una serie di vignette così essenziali produce un effetto quasi esplosivo: tutto il tragico e il grottesco emergono prepotentemente da un'espressione, da un gesto, da un ghigno animalesco e ci restituiscono tutto l'orrore e il dolore di quella tragedia.

(Monica Anelli)

“(…) Io ho vissuto per non dimenticare quella parte di me rimasta nei lager con i miei vent’anni. Ho vissuto per difendere e raccontare l’odore dei morti che bruciavano nei crematori, per difendere la memoria di tutti i miei cari e di tanti innocenti, memoria che oggi si tenta ancora di infangare. Ho vissuto per raccontare che le ferite del corpo si rimarginano col tempo, ma quelle dello spirito mai. Le mie sanguinano ancora. (…)”
In queste parole, tratte dal suo primo libro, “Il silenzio dei vivi” (Marsilio, 1997), c’è tutto il senso dell’impegno sociale che ha segnato gli ultimi anni della vita di Elisa Springer, ebrea sopravvissuta all’orrore nazista che annientò i suoi affetti e i suoi sogni. Una cappa di doloroso silenzio lunga cinquant’anni segna la sua vita dopo la fine della guerra. Sarà solo grazie all’amore di suo figlio, quel figlio che rappresenta il riscatto contro i suoi aguzzini, che Elisa riuscirà ad abbattere quel muro e a far venire fuori la sua storia. Da quel momento e fino alla sua scomparsa, avvenuta nel settembre del 2004, Elisa Springer non ha mai smesso di fare della sua testimonianza la principale ragione di vita.

(Monica Anelli)

Un insegnante disoccupato emigra dalla Sicilia negli anni '50, in Polesine incontra una donna, sposata con un disperso in guerra che in realtà si è rifatto una vita altrove. Il protagonista si trasferisce con la sua compagna a Torino, dove i due lottano con le difficoltà, la miseria, il degrado delle periferie riservate agli immigrati meridionali. Per anni cercano di sposarsi per sfuggire alla disapprovazione sociale, ma nell'Italia pre-divorzio l'impresa si rivelerà impossibile.
Gian Antonio Stella non è un narratore, è un giornalista e si vede.
La materia su cui si basa il romanzo è un insieme di notizie di cronaca riportate dal “Corriere della sera” dell’epoca.
La storia è più che altro un pretesto per raccontare l'Italia degli anni '50 e '60, attraverso una serie di episodi ricavati dalle cronache dell'epoca. Non sempre l’operazione è ben riuscita.
È un mondo di pochi anni fa e che in parte molti di noi ricordano, tuttavia sembra lontano anni luce.
Rimane impressa tra le altre la storia della coppia di immigrati italiani in Svizzera, che tiene  la figlia nascosta in casa, per paura dell’espulsione; storia che ci richiama alla condizione odierna degli immigrati stranieri in Italia.

(Daniela Borsato)

 

Quando si pensa al profumo, si tende ad associare il termine ad una particolare essenza acquistata in un negozio. Ma quanti profumi, o meglio quanti odori, pervadono il mondo che ci circonda? L’odore della carta, delle foglie, del legno, del ghiaccio, della pelle di un bambino… Ecco, questo libro, che altro non è che la storia di un uomo dotato di una sensibilità incredibile agli odori, ci fa cogliere la bellezza di un mondo percepito non attraverso la vista, ma attraverso l’olfatto: «(...) come un nastro, l’aroma si srotolava giù per la Rue de Seine… Grenouille sentì che gli batteva il cuore, e seppe che non era lo sforzo della corsa a farlo battere, bensì la sua eccitata impotenza in presenza di quell’odore. Tentò di ricordare qualcosa che gli si potesse paragonare, e dovette scartare tutti i paragoni. Quell’odore aveva in sé una freschezza, ma non la freschezza dei limoncelli o delle arance amare, non la freschezza della mirra e della scorza di cannella o della menta verde o delle betulle già di maggio o del vento gelido e dell’acqua di fonte… e nello stesso tempo aveva un colore: ma non come il bergamotto, il cipresso o il muschio, non come il gelsomino o il narciso, non come il legno di rosa o come l’iris… ma no, neppure come seta, bensì come il latte dolcissimo entro cui un biscotto si scioglie… (…)»
A voi scoprire quale sia quell’odore: inspirate profondamente e buona lettura. Perché questo non è un libro soltanto da leggere, ma da assaporare.

(Elena Papa)

Ironico, sottile, beffardo, irriverente, paradossale, spietato, definito dallo stesso Swift “perfettamente folle e perfido”, questo è stato forse l’unico libro che mi ha regalato momenti di autentico esilarante divertimento, risate fino alle lacrime.
È un vero e proprio trattato antropologico della vendetta, un assurdo manuale della rappresaglia e del sabotaggio, dal sapore rivoluzionario e dissacratorio.
L’autore fa da suggeritore, le sue istruzioni sono in realtà false istruzioni, anzi, istruzioni a far male, proposte, però con una sorta di complesso di superiorità che ne rende la lettura affascinante.
"Lava i bicchieri con l’acqua che fai tu, per risparmiare il sale del tuo padrone”, consiglia Swift, sulla scena di una casa signorile del primo Settecento, in Inghilterra, e via di seguito fino alla ferocia…
Letto ora, in tempi in cui la censura ha tappato la bocca e tarpato le ali all’ironia e alla satira, risulta ancor più appassionante e travolgente.

(Maria Cristina Rosa)


 

                                                      

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